Abbiamo intercettato i pareri dei lavoratori in remoto nel primissimo periodo d’emergenza sanitaria per capire come le aziende hanno organizzato, e assai più spesso improvvisato, le proprie attività in smart working per far fronte al lockdown. Ecco i risultati dell’indagine.
L’indagine ha fotografato aspetti unici e irripetibili del lavoro in remoto svolto durante i primissimi giorni di lockdown. Un lavoro “forzato” dalla situazione emergenziale e quindi portato avanti in una condizione di estremo stress organizzativo. Pur trattandosi di una prericerca, l’indagine è stata in grado di evidenziare molti spunti interessanti per comprendere lo stato di maturazione dello smart working in Italia e la “readiness” delle aziende nell’approntarlo. Spunti che meriteranno un approfondimento futuro attraverso singole indagini maggiormente strutturate.
La ricerca è stata sviluppata su un campione di 234 professionisti in smart working durante la settimana compresa tra il 1° e il 7 aprile 2020. Quindi in piena emergenza coronavirus. Nel documento scaricabile qui a fianco viene descritto il modo in cui lavoratori e aziende hanno fronteggiato questa situazione imprevista, a partire dalla preparazione digitale, dall’abitudine a lavorare per obiettivi e dal ruolo della leadership, ponendo importanti interrogativi rispetto all’implementazione del lavoro a distanza una volta terminati i giorni di lockdown.
In particolare, viene fatta emergere l’errata percezione che i lavoratori hanno dello smart working, inteso come strumento volto a migliorare il proprio benessere personale piuttosto che a soddisfare le reali esigenze dell’azienda. Un dato verosimilmente viziato dalla vulgata giornalistica che in questi anni, dall’introduzione della Legge 81/2017, ha fuorviato la comprensione del vero significato dello smart working quale strumento eminentemente organizzativo.
L’indagine ha messo in evidenza anche le attese dei lavoratori rispetto agli stili di leadership ideali che i loro “capi” dovrebbero incarnare, insieme alle abilità più appropriate per guidare i team verso obiettivi condivisi. Interessanti sono inoltre le perplessità e i timori dei rispondenti rispetto a un’ipotetica riorganizzazione degli spazi aziendali una volta ritornati al lavoro. Elementi di riflessione molto utili per quanti, consulenti e direttori HR, hanno il compito di calibrare formule di smart working in azienda. Con importanti ricadute sul clima organizzativo, sulla formazione e soprattutto sul coinvolgimento delle risorse nel lavoro per obiettivi.
Abbiamo intercettato i pareri dei lavoratori in remoto nel primissimo periodo d’emergenza sanitaria per capire come le aziende hanno organizzato, e assai più spesso improvvisato, le proprie attività in smart working per far fronte al lockdown. Ecco i risultati dell’indagine.
L’indagine ha fotografato aspetti unici e irripetibili del lavoro in remoto svolto durante i primissimi giorni di lockdown. Un lavoro “forzato” dalla situazione emergenziale e quindi portato avanti in una condizione di estremo stress organizzativo. Pur trattandosi di una prericerca, l’indagine è stata in grado di evidenziare molti spunti interessanti per comprendere lo stato di maturazione dello smart working in Italia e la “readiness” delle aziende nell’approntarlo. Spunti che meriteranno un approfondimento futuro attraverso singole indagini maggiormente strutturate.
La ricerca è stata sviluppata su un campione di 234 professionisti in smart working durante la settimana compresa tra il 1° e il 7 aprile 2020. Quindi in piena emergenza coronavirus. Nel documento scaricabile qui a fianco viene descritto il modo in cui lavoratori e aziende hanno fronteggiato questa situazione imprevista, a partire dalla preparazione digitale, dall’abitudine a lavorare per obiettivi e dal ruolo della leadership, ponendo importanti interrogativi rispetto all’implementazione del lavoro a distanza una volta terminati i giorni di lockdown.
In particolare, viene fatta emergere l’errata percezione che i lavoratori hanno dello smart working, inteso come strumento volto a migliorare il proprio benessere personale piuttosto che a soddisfare le reali esigenze dell’azienda. Un dato verosimilmente viziato dalla vulgata giornalistica che in questi anni, dall’introduzione della Legge 81/2017, ha fuorviato la comprensione del vero significato dello smart working quale strumento eminentemente organizzativo.
L’indagine ha messo in evidenza anche le attese dei lavoratori rispetto agli stili di leadership ideali che i loro “capi” dovrebbero incarnare, insieme alle abilità più appropriate per guidare i team verso obiettivi condivisi. Interessanti sono inoltre le perplessità e i timori dei rispondenti rispetto a un’ipotetica riorganizzazione degli spazi aziendali una volta ritornati al lavoro. Elementi di riflessione molto utili per quanti, consulenti e direttori HR, hanno il compito di calibrare formule di smart working in azienda. Con importanti ricadute sul clima organizzativo, sulla formazione e soprattutto sul coinvolgimento delle risorse nel lavoro per obiettivi.